Lo sviluppo della politica estera
Durante i primi 50 anni della nazione, i diplomatici erano guidati dall’idea che gli Stati Uniti dovessero osservare l’isolamento politico dalle potenze europee durante il tempo di pace e mantenere una stretta neutralità durante i periodi di guerra. Anni prima, Benjamin Franklin aveva riassunto questo punto quando scrisse: “Uno stato vergine dovrebbe conservare il suo carattere vergine e non andare in cerca di alleanze, ma aspettare con dignitosa dignità la domanda degli altri.”
Nel suo discorso d’addio del 1796, il presidente Washington sosteneva: “La grande regola di condotta per noi nei confronti delle nazioni straniere è di avere con loro il minor legame politico possibile”. L’Europa, continuava, aveva i suoi interessi, e questi interessi erano molto diversi da quelli degli Stati Uniti. Fortunatamente, lo stato delle relazioni internazionali tendeva a conferire libertà d’azione alla nazione. “Perché rinunciare ai vantaggi di una situazione così particolare? Perché, intrecciando il nostro destino con quello di qualsiasi parte d’Europa, impigliare la nostra pace e prosperità nelle fatiche dell’ambizione europea, della rivalità, dell’interesse, dell’umorismo o del capriccio? Perciò, ha concluso Washington, “è la nostra vera politica quella di stare alla larga da alleanze permanenti con qualsiasi parte del mondo straniero, per quanto, voglio dire, siamo ora in grado di farlo”.
Anche se le opinioni politiche di Thomas Jefferson erano molto diverse da quelle di Washington, Jefferson era d’accordo che l’isolamento e la neutralità fossero la strada più vantaggiosa per gli Stati Uniti. Nel suo primo discorso inaugurale (1801), Jefferson parlò di “Pace, commercio e onesta amicizia con tutte le nazioni, senza stringere alleanze con nessuna”.